Capitolo III
(Ada)mo
Chi oggi dice: "non mi è mai successo nulla" è uno sciocco.
(Friedrich Nietzsche)
(Friedrich Nietzsche)
- Sai Ada, oggi in ditta abbiamo concluso degli ottimi affari: siamo riusciti ad accorpare la Nifil, finalmente, e ora insieme alla Decox forma un nuovo polo influente; siamo, magari, diventati anche i più grandi dell’Italia settentrionale, mica male, eh.-
- Capisco, bene Adamo! Ma dovrai lavorare di più, ne’?-
- Beh, in un certo senso…-
- Come, tesoro!-
- Sì, mi tocca di lavorare un po’ di più, i primi tempi, ma a casa con ‘sto computer. Poi, vedrai, una volta sistemate le beghe iniziali, mi normalizzerò, io, il tran tran. Sostanzialmente cambia mica niente nelle nostre abitudini, saremo solo più ricchi ed salirò di prestigio, io.-
- Bravo sei, Adamo, il mio orgoglio! Maria, allora ce la mandiamo alla Bocconi, ‘sta fiòla?
- Che domande, santi numi, certo che sì! Ti tenevi mica dei dubbi, eh?!-
- Hai ragione, non ho mai fiducia, io.-
Silenzio per un attimo.
- C’andiamo a messa, domani, con la mamma, te l’avevo detto, no?-
- No, ma è un problema da niente, e pure ci siamo abituati a ‘ste improvvisate. L’hai invitata a pranzo, spero bene...-
- Oh, ci ho mica pensato. Lo farai tu domani, che te l’intendi tanto bene con la mamma!-
- Di sicuro. Dormiamo adesso eh, Ada. Ho sonno.-
- Sì, ho sonno anch’io. Sogni d’oro, caro.-
- ‘Notte.-
Una luce si spegne nella camera da letto di Ada e Adamo.
- Pensavo a ‘sta cosa, Adamo.-
- Hm…-
- Pensavo che magari per le vacanze di Pasqua, no, potremmo andare su qualche isoletta tropicale…, almeno una settimana. Eh, che ne dici?-
- Vedremo Ada, vedremo. Adesso dormi.-
- Come sei! È domenica domani, lo sai o no?, che t’importa d’addormentarti subito!-
- Devo passare in ufficio domani, bisogna che sbrighi le ultime pratiche per l’accorpamento.-
- Ah be’ allora... Scusa. Buona notte.-
- …notte.-
La mattina va ad accogliere i coniugi direttamente nella loro camera matrimoniale che da’ ad est, come pure i letti, così che la luce, filtrando tra le persiane accostate, solletica dolcemente gli occhi serrati dei dormienti. Il campanile batte le ore, ma non è certo questo suono abituale a svegliare Ada. Uno scatto sommesso, un cricchio; la porta che ansima attenuata, dei passi felpati, intimoriti, un fruscio d’abiti. S’accende una luce, è il lampadario dell’anticamera, mentre Ada in vestaglia punta gli occhi ristretti contro l’intruso.
- Daniela! Disgraziata che non sei altro, ti sembra l’ora di tornare a casa?!-
- Mamma! Che ti gridi!, svegli papà e Maria così.-
- Tanto meglio, così sapranno subito tutti a che ora ‘sta benedetta figlia rincasa. Che bell’esempio dai a tua sorella! Una sciagurata, tu!-
Da due stanze buie, separate, s’alzano due lamenti.
- Mamma, che c’è da gridare?-
- Ada, cosa succede?-
- Succede che tua figlia è appena entrata in casa, ah ‘sta senza cervello, praticamente se l’è passata fuori la notte! A proposito, che ore sono?-
Dicendo lancia un’occhiata alla sveglia sul comò.
- Le otto e mezza, ti rendi conto! Ma… che diavolo hai fatto in giro tutta notte?!-
- Ma mamma…
- Taci, va’ a lavarti, a cambiarti e poi vieni a far colazione. Non sperare di dormire, oggi devi studiare. Eh già, lo studio viene sempre dopo!-
- Su Ada - intanto Adamo s’è alzato - lasciala stare un attimo, calmati. Ha sonno. S’è divertita un po’, mica è un reato. La rimproveri perché non ti sei divertita anche tu, eh?-
- Lascia …-
- Dai, forza, prepariamo ‘sta colazione che ormai c’hai svegliati tutti.-
Due ragazze poco più che adolescenti, una donna di mezza età ed un uomo sui cinquanta siedono nella medesima stanza e si scrutano corrucciati al tavolo. Intanto sorseggiano il caffè e latte, sgranocchiano dei biscotti assonnati, si stiracchiano dentro il pigiama.
- Vedi Ada, Daniela è per niente stupida: sa il fatto suo. Guarda è già qui a far colazione, ha mica riposato ‘sta notte, ma è come se l’ha fatto. Lo so! Sei gelosa, tu, perché lei ci riesce e tu invece no; se appena tiri tardi ad addormentarti, rimani una zombie tutto il giorno dopo. Non è vero?-
- Ma sì, ma sì, lo so anch’io! Però ‘sto qua non è un motivo sufficiente, rimango arrabbiata... posso mica stare tranquilla sapendo che mia figlia ha passato tutta la notte lontano da casa. Sa Dio con chi e dove!-
- Cosa le può succedere?-
- Come sarebbe a dire! Cosa le può succedere! Ma qualunque cosa, per la miseria!-
- Dai, non c’è motivo di imprecare…-
- Certo, scusa. In ogni caso può accaderle qualsiasi cosa. Non t’immagini neanche, tu, cosa succede di notte lungo le strade, meno trafficate, e pure in quelle più trafficate oramai. Sta diventando una Babele, Novara, una città irriconoscibile. Guarda che mica è come quando eravamo giovani noialtri! C’è d’aver paura di cacciar fuori il muso, quand’è scuro. Tutta ‘sta negraglia, sporca, ubriaca, dove la metti, ma tu non li vedi i telegiornali?! Perché secondo te Novara è così sporca di questi tempi?! Adamo, guardale tu le cose come stanno! Daniela e Maria sono due belle ragazze, sono quasi delle donne oramai, e per le femmine tutto è più complicato, abbiamo la vita più difficile, siamo indifese! Non ci mette niente un Albanese, un mafioso, un delinquente qualunque, che so io, ad… ad importunarle! Può prendersele per un braccio, ‘sto brigante, e so mica come si possono difendere… E poi la notte è piena di quelle svergognate, di prostitute, che le giovani le ammaliano! Farebbero meglio a cacciarle via ‘ste…, non fanno niente di serio! E mi chiedi cosa può succedere alle mie figlie, tu!-
- Sei nel giusto, non sto mica qui a dirti che hai torto, ma a Daniela non è successo niente no, e poi lei sta sempre in compagnia. Le compagnie sono sicure da questo punto di vista. Vero Daniela?-
Quando Ada e Adamo sono arrabbiati o affrontano un diverbio riguardante le figlie, Dany e Mary ritornano Daniela e Maria.
- Sì, papi, certo.-
- Non capisci Adamo! Se per una notte non le è successo niente, a quelli lì, significa mica che la lasciano in pace pure la prossima volta!-
- Non ci sarà una prossima volta, questo sia chiaro. Daniela non passerà più la notte fuori senza il nostro permesso, che daremo, parlo con te, signorina!, in via eccezionale. Daniela, è vero che non passerai più la notte lontano di casa senza avvisarci, e senza permesso? Su metti in pace il cuore della mamma.-
- Certo, papà.-
- Ada, Daniela, la questione è chiusa, occhèi? Tesoro, non fare dei drammi esagerati! Dany, non tollererò altri sgarri da parte tua! Intesi?-
Le due donne asseriscono con il capo e il clima famigliare si distende sensibilmente. Maria ha trattenuto a stento risolini per tutta la conversazione. Sempre in silenzio però, lanciandosi occhiate cariche di significato, tutti e quattro si levano ed ognuno svanisce in una stanza differente. Ada finisce in bagno, ma in un lampo è di nuovo in cucina per sparecchiare e mettere le tazze in acqua; Adamo è in camera a vestirsi come anche Daniela e Maria.
Sono le 10:30, ed è ora d’andare in chiesa, prima però, Adamo passa in ufficio.
La messa volge già al termine, il sermone del parroco è stato illuminante per la fervida fedeltà di Adamo. Scivola di mano in mano il cestello in vimini destinato alle offerte e Adamo è come il solito munifico. Tuttavia prima di lasciar cadere nel paniere le sue banconote accartocciate, vi sbircia dentro e calcola velocemente le proporzioni delle offerte, rispetto a quelli che l’hanno preceduto. Tirate le somme, lascia la presa soddisfatto. Non appena il paniere cade tra le braccia dell’ultimo sedile, i fedeli sono liberi d’andare in pace. Sulla piazzola antistante la chiesa di S. Gaudenzio si ritrovano periodicamente, ogni domenica mattina dopo la messa, gli amici d’altri tempi, ormai signori onusti di tutti i loro anni. Sono tutti più o meno benestanti, figli degli antichi nobili di Novara, oppure dei nobilucci arrivisti. Questi, alleatisi con prontezza e in opportunità con i vari casati vincenti, dai Gonzaga ai Visconti ai Medici, dagli Spagnoli d’Aragona ai viennesi d’Asburgo, dai Savoia piemontesi ai fascisti romani, rimpinguarono le proprie riserve auree, arrogandosi diverse scorte di sangue blu. Oppure, ancora su quella piazzola novarese, s’affastellano anche i "homines novi" dell’elite urbana, vale a dire gli arricchiti, l’avvenenza borghese. E su quella piazza queste tre sottoclassi potenti, che abitano il centro riverente di Novara, si mescolano e si compenetrano rimestando il loro sangue. Così il blu azzurrino di uno s’arricchisce degli anticorpi targati con una "$" dell’altro. Queste classi un po’ si temono, ma pure si studiano: i "novi" per il passato dei "veteres", e questi per il presente propizio degli altri.
Là fuori formano dei crocchi di poche persone e gesticolano ameni con quell’aria mondana e quella sopita fierezza che le classi superbe serbano per i ritrovi in società. Finalmente compare dall’ombroso ingresso della chiesa il parroco che, come di consuetudine, visita metodicamente ogni capannello sussurrando una parola a ciascuno. Il rito esige che si avvicini anche al gruppetto di Adamo, ove la sua famiglia occupa una posizione di rispetto.
- Mio caro Adamo, voi siete un eupatride!-
E marca bene "eupatride", sapendo che Adamo non ne intuisce, nemmeno vagamente, il significato.
- Ha ragione, padre.-
Adamo ammicca, inavvertitamente impacciato. Il parroco ha studiato le lingue classiche, invece Adamo è un ragioniere laureato in economia alla Bocconi. Il prete ha consumato la sua parola per quel drappello e migra verso altri bisognosi. Gli Stangalini, la famiglia di Adamo, rimangono perplessi per alcuni attimi. Egli, allora, coglie il silenzio che ha lasciato l’aria inalterata.
- Mariagrazia, posso invitarla a pranzo da noi? Sua figlia Ada ha già preparato tutto; Daniela e Maria hanno novità da riferirle su questioni sentimentali, riconoscendo in lei un’ottima consigliera! Accetta, son convinto, il mio invito?-
- Certamente, caro Adamo! Sono felice di fornir ragguagli a Maria e a Daniela, ‘ste giovincelle. Son giovani come l’acqua, ne hanno bisogno, ché i vecchi le hanno sperimentate tutte, prima di loro, le traversie del cuore.-
È tardi un’altra volta e gli stomaci borbottano, abituati alla regolarità dei pasti; gracidano perché è ora di pranzo. Questa domenica Ada non deve correre a casa come la volta scorsa, constatato che è assai più comodo preparare la sera prima: c’è solo da cuocere la pasta e da scaldare l’arrosto. Sicché i cinque, Mariagrazia, Adamo, Ada, Maria e Daniela, s’avviano all’auto che hanno lasciato nei pressi della Banca Popolare di Novara, nello spiazzo tra la filiale storica e quella moderna.
In molti, tra quelli presenti a messa, hanno parcheggiato in quei dintorni, benché nessuno abiti così lontano da rendere indispensabile l’uso dell’auto. La domenica, però, si sfoggiano le livree, le cavalcature e le carrozze, in somma: abiti e auto. E persino, anzi, soprattutto sulle auto, si legge la differenza di quelle tre sottoclassi: nobili, nobilucci e arricchiti. I primi, più laconici e riservati, eppur dal passato altezzoso, guidano (cavalcano) solo destrieri purosangue, non razze artificialmente incrociate, mica bastardi. Nelle loro scuderie, dunque, si pascono sobri bolidi lussuosi, in altre parole Mercedes, dalla serie E in su, o Jaguar eleganti, colme d’aggeggi e appendici, vestigia di sfarzosi altri tempi. Tra i nobilucci la sobrietà e l’eleganza della solidezza cedono appena il passo alla grinta della linea e alla potenza che, pur rude, evidenzia tratti d’incommensurabile estetica. Perciò i nobilucci sfoggiano Bmw scure e metallizzate, dai motori capienti e caparbi: i più giovani, senza figli, ammogliati o meno, godono delle prestazioni di sfolgoranti Serie 3, mentre gli accasati con famiglia si accomodano sulle più spaziose e monumentali Serie 5 o Serie 7, dal nobile profilo. Al seguito s’accompagnano gli arricchiti che palesano le loro carenze sanguigne anche nella scelta automobilistica. I più sensibili guidano Alfaromeo 166, trasudanti sportività e dinamismo, dimostrando sulle auto le medesime doti che s’attribuiscono alla loro schiatta. Tuttavia con più frequenza spadroneggiano manieristiche auto giapponesi o barocche statunitensi, così che la forma estetica è tralasciata e l’eleganza appiattita. In somma viene a chiarirsi finalmente la definitiva perdita del gusto del sublime, dell’ulteriore. E Adamo non fa eccezione: con un comandino congenito alle chiavi, sblocca a distanza le portiere della sua Chevrolet bordò, la quale si direbbe grottesca, movendosi da impari tra gli altri gioielli mobili. All’interno tutti e cinque hanno la possibilità di viaggiare egregiamente; Adamo conduce l’auto attraverso alcune viuzze del centro percorribile, fino ad incrociare un braccio del baluardo a senso unico. Poi si dirigono lungo Via Gnifetti verso una pasticceria. Pochi minuti dopo sono a casa. Non c’è di che stupirsi, poiché domenica è una giornata placida, il traffico tutt’altro che intenso. Adamo parcheggia davanti al proprio giardino. Abita in Via Regaldi, all’ombra di filari ombrosi; son tutti ippocastani imponenti che si conficcano, come frecce titaniche, nell’asfalto grigio, squassandolo, deformandolo. Adamo è fiero della propria magnifica villa, l’invidia del vicinato. È orgoglioso e compiaciuto d’abitare nella migliore via di Novara: in centro a ridosso del baluardo, florida più che mai e verdeggiante, silente come non è alcuna via urbana e maestosa nel suo agio. Ogni stagione dipinge la sua bellezza su quegli alberi decennali, contagiando l’intera strada. Il vicinato dice un gran bene di Adamo e della sua famiglia. I vari coabitanti, infatti, generalmente chiusi come i Novaresi, e diffidenti come coloro che posseggono molto, hanno accolto Adamo in poco tempo, calorosamente e affettuosamente. Ovviamente previo resoconto dei suoi affari, stato economico e famigliare. Si direbbe che Adamo sia ormai, a distanza di anni, definitivamente integrato. Ha un bel cane, un pastore tedesco, impiegato, oltre che come animale da compagnia, anche come cane da guardia. Adesso che l’auto è parcheggiata di fronte al cancello di casa, che Maria e Daniela siedono sul divano di fronte al televisore acceso, che Mariagrazia e Ada si prodigano in cucina, Adamo può girovagare con il suo cane. La bestiola ha ricevuto un nomignolo banale: "Doggy", cagnetto all’inglese. Bipede e quadrupede sono già in strada per Via Regaldi. In questo periodo invernale l’eleganza della via è un po’ spoglia, giacché gli ippocastani son calvi e le loro foglie si squagliano lentamente sul selciato, ma il pendio che unisce la strada al baluardo sovrastante ostenta un manto verde d’erba immortale, e morbido e brinoso. Innanzi a casa Adamo vede sempre quell’oasi semiboscosa, che lo ripara dal chiasso urbano e gli fornisce un luogo ove Doggy possa scorrazzare e delimitare il territorio. In vero quel parco senza recinzioni sarebbe interdetto ai cani, a norma di legge, ma ivi non s’è mai veduta la striscia verdognola della polizia municipale; solo qualche ronda privata vi passa, per controllare le abitazioni da cui è sovvenzionata, ma disinteressandosi d’abusi estranei. Via Regaldi non è via di transito, si sobbarca solo posti-auto lungo entrambi i lati, giacché il senso di marcia è unico. Persino a febbraio è un angolo ombroso, poiché gli ippocastani sfrondati dall’inverno hanno massa sì soverchiante, che gettano la loro sagoma oblunga e scura sul marciapiede, fondendosi con l’atmosfera plumbea.
Ad un tratto compare Ada piantando saldamente in piedi sulla strada, fa cenno a Adamo di rientrare perché il pranzo è pronto.
La tavola è ricolma di piatti caldi, che suonano al contatto con le posate d’argento; domenica è la giornata delle posate belle. Adamo e Ada siedono di fianco, frontalmente a Maria e Daniela, mentre a capotavola torreggia, ancora fiera, Mariagrazia.
Mariagrazia è vedova da parecchi anni ormai e la vita non le è più molesta, come nei primi giorni dopo il funerale del marito. Achille Bonomi era un invalido della Seconda Guerra Mondiale, scampato d’un nonnulla alle sofferenze della Prima: era un ragazzo del ’01, primo di molti fratelli. Negli anni Venti fu simpatizzante del Partito d’Azione, così che presto si arruolò nell’esercito di Sua Maestà Vittorio Emanuele III. Nel 1925, l’indomani la dichiarazione della dittatura di Benito Mussolini in parlamento, non si scomponeva affatto e marciava ancora deciso sotto l’egida del suo Re. Non lo scalfì l’eco del colpo di stato attuato in pratica dal re stesso, il quale si rifiutò di firmare lo stato d’assedio chiesto dal parlamento. La madre d’Achille era di origini nobili e si dice fosse stata un’amante di Gabriele D’annunzio. Il padre Bonomi era un industriale di Milano, possidente di svariate acciaierie, la cui famiglia aveva fatto affari con i Savoia e con l’Unità d’Italia. Una volta che il bel paese fu un’unica nazione, infatti, furono commissionati chilometri e chilometri di ferrovia, l’appalto della quale i Bonomi vinsero. Achille Bonomi, rampollo di una delle famiglie più ricche del Nord Italia, era militare per volere della madre che conservava un orgoglio nobile. Al termine della guerra Achille, prima passato con il generale Badoglio nel ’43, poi nel Comitato di Liberazione come supervisore degli Alleati, seppe sfruttare ottimamente le opportunità offerte dalla storia. Nonostante avesse dovuto subire la sconfitta della monarchia nel referendum del ’46, si prodigò con le nuove amministrazioni per appaltare la ricostruzione ferroviaria e infrastrutturale. Nel ’51, sistemati debitamente i suoi officii più impellenti, trovò il tempo per una moglie, scovata tra le file dell’aristocrazia decadente. All’epoca i Bonomi erano una garanzia di solidità morale, ma soprattutto patrimoniale, tanto che nessuna famiglia ne avrebbe rifiutata un’offerta di matrimonio per propria figlia. La prescelta fu Mariagrazia del marchesato Della Lena. Nel ’51 Mariagrazia aveva vent’un anni e andava in sposa a Achille Bonomi di cinquanta. Visse il matrimonio come un dovere morale da perseguire e da conservare. Si consegnò anima e corpo al suo ruolo novello, sia tra le mura domestiche, sia tra le pareti labili dell’alta società. Mai tentennò, raramente fu indecisa, così da ottenere la piena fiducia di Achille. La lasciò sola, morendo a settantatré anni, con tre figlie ed un patrimonio immenso da gestire. Era il 1974 quando Mariagrazia rimase vedova a quarantaquattro anni. Come aveva imparato e attuato per tutta la vita, s’impegnò nella difesa e nella cura della famiglia. Amò le tre figlie, le vezzeggiò, ma le crebbe tutte d’un pezzo, benché orfane. Ada aveva ventidue anni, Iole venti e Clelia diciannove. Tre belle e fiere fanciulle. Né Ada, né Iole poterono proseguire gli studi oltre il liceo femminile, per volere del padre, che, rimpiangendo altri tempi, riteneva dovessero attendere un marito e dedicarsi alle cure della fondazione domestica. Clelia, invece, finendo gli studi classici nel medesimo anno in cui il padre moriva, poté convincere Mariagrazia a pagarle l’università. La piccola Clelia ebbe uno strano destino: sedotta dall’ambiente universitario in fermento, a Milano, prese a frequentare gruppi… non proprio ortodossi. Scomparve nel ’78, in ottobre; fuggì forse con amici e amiche verso altri lidi. Sempre nel medesimo anno la famiglia Bonomi, per esorcizzare la disparsa di Clelia, celebrò un matrimonio: Ada sposava Adamo Stangalini e veniva ad abitare a Novara. Se Mariagrazia era un’ottima madre e donna di casa, era altrettanto negata nel maneggiare il denaro. Fu così che buona parte del patrimonio venne inghiottita dai più abbietti pescecani, i quali con fandonie colossali avevano dissanguato la vedova. Certamente i parenti non le avevano riservato un trattamento migliore. Ecco, dunque, che in relative ristrettezze economiche, Ada fu concessa sposa a Adamo, benché rampante ed arrivista imprenditorotto, appena arricchito. Mariagrazia, ancora pregna di dignità, volle per la figlia una casa adeguata, perciò regalò ai coniugi l’odierna villa in Via Regaldi. Sposata che fu anche Iole, il cui destino fu assai misero, moglie di quello che si rivelò un mafioso, Mariagrazia vendette tutti gli immobili in Milano, comprando un nobiliare appartamento a Novara, in Via XX Settembre. Era un bell’attico a metà tra il liberty e il neobarocco, ma fu anche l’ultimo dileguamento patrimoniale.
La situazione ora è questa: Mariagrazia e Ada, con il marito e le figlie, vivono a Novara; Clelia sta forse in Argentina, secondo il timbro postale di una cartolina; Iole tribola nel Principato di Monaco con un marito delinquente ed un figlio che minaccia di seguire le orme paterne.
Adesso Mariagrazia siede là, mesta, a capotavola come una matriarca, che asseconda uno stomaco inusualmente pigro, alle prese con un pasticcio di peperoni. Fatica a digerirlo, dopo che nella sua vita è riuscita a mandar giù di tutto: dallo stufato ipercalorico alla dilapidazione dell’erario e alla dispersione della famiglia.
Dal momento che le era stato insegnato a portar la pietanza alla bocca e non la bocca verso il boccone, è costretta ad intravedere Adamo, ogniqualvolta scorti un tozzo di cibo verso i denti. E alle sue spalle tutto ciò che rappresenta. Nonostante la sua rassegnazione a vedere la figlia tra le braccia d’un bruto, d’un barbaro ignorante, d’un ottentotto incivile, odia tuttora, reconditamente, ogni esponente della borghesia arricchita. A tal guisa aveva, assai sommessamente ed inconsciamente, detestato il fiuto per gli affari del marito e la sua abilità poietica. Mariagrazia amò profondamente il padre e, di conseguenza, il suo modello: un uomo fieramente nobile, distaccato, che seppe morire nell’ozium d’altri tempi. Eppure la bella vedova ora sta là, a capotavola, in casa del genero, come quasi ogni domenica. Non rifiuta mai i pranzi, non ne biasima la figlia, non disdegna le liete ore pomeridiane, trascorse sulla poltrona o sul patio, e neppure l’annoia la compagnia di tutti loro. Con tutti tali aspetti postivi, però, non riesce a non disprezzare radicalmente un bifolco, quell’Adamo lì. Lo considera, quasi senza offesa giacché non può condannare un essere colpevole solo della sua indole, uno spocchioso. Ai suoi occhi Adamo è lordo, lezzoso, maleolente per il lavoro "en plan air"; è maldestro ed incurante a causa di una certa mancanza cognitiva dei "mora" e del portamento; si direbbe grossolano, sciatto, sì che le sue mani sono ingiallite e crepate dal continuo contatto con i soldi. La fantasia immaginifica di Mariagrazia va spesso oltre, fino alla finzione di Adamo che antepone al caldo conforto del talamo la fredda conta metodica delle entrate. E se lo figura garrire, strepitare, bramire ad ogni fruscio di banconota, ad ogni tintinnio di moneta. Mariagrazia, la nonna, ha quasi concluso il pasto e assapora la sazietà, la dolce soddisfazione gastrica. Il cipiglio si rischiara subito alla visione delle nipoti, Maria e Daniela, che hanno avuto la fortuna di crescere, come lei, nell’agio. Hanno, in più, frequentato il liceo, come la madre, ed financo Maria s’iscrive all’università. Mariagrazia ha già deciso: quel po’ che le rimanesse, l’erediteranno le nipoti, fra poco entrambe maggiorenni. Talvolta a questo pensiero si rinfranca. Adesso s’alza e riesce a piazzarsi per prima sulla poltrona centrale davanti la televisione. Presto sarà imitata dai coniugi. Per la prima volta dopo anni s’avvede che "Ada" è contenuta interamente in "Adamo". A questo pensiero s’appisola.
Ada frattanto sta lavando i piatti, mentre le figlie sparecchiano in fretta e furia per poter andare a cambiarsi.
Diversamente da Mariagrazia, Maria e Daniela, con sfumature differenti, adorano il padre di cui non notano la piccolezza d’animo, la ristrettezza d’orizzonti, l’umile origine. Per loro Adamo è un padre forte e vitale, sempre pronto a proteggerle dal temperamento "virile" di Ada. Non si sono scordate di quell’ultima volta in cui erano state punite da Adamo per aver marinato la scuola. Ma era stato un episodio unico, anziché raro. Le due ragazze, infatti, hanno appreso stratagemmi più sofisticati e usato molta più prudenza. Le bigiate si sono susseguite saltuariamente, ma non la furia del padre. In un’occasione sono state colte addirittura in flagrante dalla nonna, la quale inspiegabilmente le ha coperte. Forse per il semplice gusto di appoggiare un atto di "ribellione" verso il meschino genitore. Maria e Daniela rispettano maggiormente la madre, ma il padre è adorato e lisciato, come l’unico uomo della famiglia. Adamo accondiscende a quasi ogni capriccio delle figlie, le quali non si stancano di chiedere, né indugiano ad attuare ricatti affettivi e psicologici. Il baluardo è sempre la madre, che ha la prontezza di risposta di una donna assennata, cresciuta coscienziosamente. Ella non si lascia malleare dalle figlie, ma se quelle su questo fronte falliscono, basta loro conquistare il padre per far capitolare anche la madre. Dunque Adamo è il trampolino di lancio per i desideri delle figlie, assolutamente deficienti in fatto di scrupoli. Maria e Daniela non ne vogliono sapere di borghesia, di nobiltà, di portamento, e per questo sono redarguite dalla nonna. Anche Ada partecipa al rimprovero, ma intimamente finge, a sua volta seccata dei panegirici sulla gloria antica dei Bonomi e dei Della Lena.
In fine, agli occhi di Ada, il marito è un placido imprenditore che accumula ricchezze per il futuro delle figlie, cosa non riuscita alla madre di lei. Ammira Adamo per la sua liberalità nel rapporto filiale, che ella non sa concedersi e non aveva mai sperimentato. Giudica Adamo un uomo bonario, non avido, né avaro, ma previdente come la formica, non dissipatore come la cicala e come propria madre. Adamo non è il principe azzurro per lei, ma il pacato artefice della sua felicità. Lo vede come una persona abile negli affari e nella "fabbricazione" dell’autorealizzazione. Adamo è in grado di creare appagamento, di contagiare tutta la famiglia; forse subordina e ridimensiona gli orizzonti fino ad averli a portata di mano, ma li raggiunge sempre, e li innalza ad obbiettivi primari. Operazione che sua madre non era stata capace di amministrare, cha aveva, al contrario, annichilito e svilito: aveva relegato la felicità nel passato d’oro e aveva indotto le figlie a ritenerla una condizione persa per sempre, dopo la morte del padre. "Se non puoi guardare lontano, evita di guardare." Era riuscita a mortificare come un miraggio velleitario ogni ulteriore tentativo di contentezza. In somma, aveva ostacolato le figlie e le trattava come segnate dall’onta indelebile del loro destino. Aveva saputo dilatare a tal punto gli orizzonti e allontanare gli obbiettivi, da render invisibili gli uni e intangibili gli altri. Era riuscita, in definitiva, a vanificare delle gioventù, a sopirne, se a non reprimerne, i frutti e le pulsioni. Mariagrazia era stata così abile da sfogare la propria frustrazione su Ada, Iole e Clelia, che la più piccola era fuggita all’intransigenza domestica. Ada prova tutto questo nei confronti della madre ed è inconfessabilmente contenta della morte paterna, del tracollo economico, delle ristrettezze di mezzi in cui s’era trovata…, in cui vertì anche la madre, e ne soffrì. È intimamente lieta delle sue traversie finanziarie, dei naufragi familiari perché avvilirono lo spirito sprezzante della madre. Ma sopra ogni cosa gode sfrontatamente del matrimonio con Adamo che ha annerito totalmente la bile della vecchia. Ada non scambierebbe nessun momento della sua vita con quello in cui Adamo chiese la sua mano all’impettita Mariagrazia Bonomi Della Lena. Vide il volto paonazzo di sua madre, mutar continuamente colore; infine sbollire, deglutire e ammettere la sconfitta. Si rassegnò: doveva concedere sua figlia, la sua primogenita, a quell’esponente del "popolino". Ad Ada fu sufficiente questo per amare incondizionatamente quel "bifolco", con il nome più nobile di tutti gli uomini.
Adamo, dal canto suo, non immagina di essere l’epicentro di tali rimestamenti sotterranei. Vede nelle figlie due ottime figlie, nella moglie un’ottima moglie, nella suocera la finezza di una donna dal passato illustre.
E non è detto che non sia veramente tutto qui.
Sono già le tre del pomeriggio, quando Mariagrazia si alza dal divanetto, accanto ad Ada e Adamo, e risolve d’aver perso abbastanza tempo davanti al televisore. La aspettano le sue amiche per la partita settimanale di bridge. Quindi si veste, saluta tutta la famiglia Stangalini ed esce sulla via. A dire il vero non deve percorrere molta strada, giacché il covo delle giocatrici è in una spaziosa villa ombrosa proprio lungo Via Regaldi.
La porta deglutisce rumorosamente e i due cinquantenni s’assopiscono sul divano. Basta il trillo-non-più-trillo del telefono per disturbarli e obbligare Adamo a rispondere. Il rumoreggiare dei telefoni fissi pare piuttosto un cinguettio, una modulazione. La chiamata è indirizzata a Maria.
- Maria! Vieni al telefono, è la Mara…-
- Arrivo...-
Adamo ritorna sul proprio divano, mentre la figlia discorre animatamente al telefono. Ormai, però, i coniugi sono dissonnati, così che risulta loro fastidioso perdurare nel falso sopore. Si risolvono d’uscire, con l’intendimento di bighellonare per le vie del centro, nella speranza di stuzzicare la loro curiosità. Appena Maria riattacca, Adamo la informa della loro sortita prossima.
- Usciamo, noi due. Tu e Daniela cosa pensate di fare oggi pomeriggio?-
- Io esco con la Mara, Daniela non so.-
Il padre è pensieroso.
- Hm… scusa un attimo: la Mara non poteva telefonarti sul cellulare?-
- Papà! Lo sai che spenderebbe un capitale, lei è Omnitel, io Tim! Siamo mica fesse, eh!-
- Già, già.-
- Ciao, a dopo.-
Ada e Adamo salgono in camera per abbigliarsi.
Il sole è ormai terribilmente basso sin dalle quattro di pomeriggio, giacché il solstizio è passato da poche settimane. La domenica sta languendo tra Corso Cavour e Corso Italia. La gente è scarsa per via del freddo secco, tagliente nel febbraio novarese. (Eppure questo è niente rispetto altri climi nordici per i quali Febbraio è un mese vietato all’aria aperta).
Marito e moglie non hanno notato niente che suscitasse il loro interesse, considerati i fatti che i negozi sono chiusi di domenica e che Novara non è particolarmente rinomata per la vitalità e il brio. Al contrario si intravedono sovente i padroni di cani dalle taglie più disparate. A Novara questa è l’unica certezza: i cani che ogni giorno, e più volte al giorno, devono espletare le loro funzioni fisiologiche e i padroni che li sorreggono premurosi al seguito. I Novaresi sono spesso così svogliati, che, in vero, è il cane a portare a spasso l’uomo, e anzi, gli fornisce il motivo d’un po’ di moto. Adamo è stato, invece, così previdente con il suo Doggy da non dover tribolare affatto, giacché ha il prato-orinatoio dirimpetto. I Novaresi, però, sanno fare di meglio: c’è una categoria speciale di padroni cinofili, i quali, sostenendosi troppo signori per passeggiare con il cane, lo portano a zonzo in auto. In siffatte ricerche di un parco, ove permettere alle bestiole, viziate e oziose, di liberarsi del loro grave, rinveniamo un insano amore lezioso per il cane. Non c’è neppure di che stupefarsi se quei signori auspicano più strade per raggiungere meno parchi!
Ada e Adamo hanno incontrato per lo più nervosi latori di cani e di questi non ci si può interessare, in quanto parte consolidata del paesaggio squallido. Sicché hanno concordato di tornar all’ovile, passata una misera ora e mezza. Di tutt’altro avviso sono state le ragazze che hanno disertato ogni appello parentale al buon senso e sono rincasate solo ora, alle sette e mezza. È giusto un attimo prima di cena, prima che Ada si spazientisse e violentasse loro le orecchie via cellulare.
La cena è tutta incentrata, con sacrosanta ragione, sul ritardo delle figlie. Ada imbriglia su di sé le fila del discorso e non pare avere intenzione di cedere alle parole mitigatrici di Adamo. È tanto risoluta nella propria ramanzina da vietare al marito l’apposizione di un’isolata sillaba. Non permette che possa difendere quelle due "sciagurate".
- Questa volta vostro padre non starà dalla vostra come sempre! Non è vero Adamo?
- Questa volta ha proprio ragione la mamma, non c’è niente da ribattere….-
Questa volta a Adamo spetta la parte dello spalleggiatore. Un aiuto insperato alle due giovincelle giunge dall’anziana nonna, la quale interrompe tutto suonando il campanello. Dal momento che è sempre Ada a rispondere nel citofono, "lei sì che sa trattare con gli scocciatori", il suo sermone si tronca bruscamente. L’espressione dura di Ada si frantuma delusa di fronte al volto fieramente mite della madre. Non era attesa.
- Ciao Ada, fammi salire che sono stanca.-
- Certamente mamma. Vieni su che stiamo cenando.-
Mariagrazia sale lentamente le scale, due rampe brevi, quasi due soli gradini.
- Salve a tutti!-
- Caio nonna.-
- Mamma, che ci fai ancora da queste parti? Hai giocato a bridge con le tue amiche?-
- Certo, proprio per questo sono ancora nei paraggi. Eravamo prese dalla mano avvincente…, non era il caso di lasciare lì tutto. Così mi son detta: per tardi che sia, sulla via abita mia figlia. Dunque, perché esitare?-
- Già, perché esitare… Hai fatto bene mamma.-
Ma Ada è ancora in collera e stenta a mascherarla.
- Ma che sta succedendo qui? Ada cara, sei mica arrabbiata, eh?
- Non si preoccupi Mariagrazia: è la ramanzina serale che Ada riserva a Maria e a Daniela con una certa regolarità.-
- Capisco.- E’ un po’ sconcertata.
- Ma non è niente mamma, non preoccuparti.-
Un attimo di silenzio che rischia di farsi piombo.
- È solo che queste due senza cervello tornano sempre in ritardo a cena, di notte, quando è stato loro esplicitamente chiesto di rincasare ad un’ora civile.-
- Mica vero, però, che torniamo "sempre" tardi! Sarà successo, sì e no, due domeniche in un mese!- Un bel coro, quasi unisono.
- Voi tacete! Non avete voce in capitolo.-
- Suvvia Ada, non essere così dura con Maria e Daniela. Sono giovani come l’acqua, hanno diritto di sbagliare. E poi non sono mica arrivate quando la cena era già iniziata. Devi essere un po’ più permissiva, sennò ti odieranno!-
In queste parole Mariagrazia cela sottintesi dolorosi al ricordo di Ada, e al contempo venature di scherno nei confronti di Adamo, il quale non può coglierle. Ci ha pensato Ada ad afferrare tutto. Mentre la madre parlava, ella ha trattenuto faticosamente l’odio sulle proprie guance, giacché i ricordi della giovinezza le sono passati nitidamente sotto le palpebre. Propria madre s’era comportata assai peggio di lei ed entrambe lo sapevano. Si era incollerita per molto meno e aveva seviziato mentalmente le figlie, così da farne delle scapestrate, delle misere o delle coriacee difficilmente trattabili. Non avevano avuto nessun "diritto di sbagliare". Quel "sennò ti odieranno" è stata la beffa ilare, regina dei sottintesi. Voluta dalla madre, credeva Ada, per punire l’ardita veemenza della figlia e per ricordarle la sua schiatta. Ada ha nella mente un vortice di pensieri malevoli, e ringrazia Adamo di esserci, di averla strappata dalla giurisdizione materna. Gli è grata per averle donato un po’ d’amore, per averla sottratta al suo destino di despota con i pantaloni. Dunque Ada si placa, di punto in bianco, per togliere quel po’ di soddisfazione alla madre. Ma l’ardore la riprende quando s’avvede di come la vecchia abbia sottilmente ridicolizzato il suo uomo. Quel "devi essere più permissiva" era riferito a Adamo, il bonaccione imbecille. Ecco, Ada sa che ogni parola della madre va presa esattamente al contrario, così da ricostruire il significato del suo pensiero. Secondo questo ragionamento, Mariagrazia desidera che Ada tratti male le figlie, affinché queste ultime abbiano ragioni per odiare la madre e per giudicare il padre un imbecille. Ada allora non può rischiare di farsi cogliere da quella nell’atto di riprendere le figlie. Eppure s’accorge d’essere stata plasmata, quasi ad immagine e somiglianza.
- Manno! Manno! Non è niente, hai ragione. Guarda, sono già sbollita. Ha ragione Adamo - e lo marca bene - non è niente di clamoroso che tornino un po’ tardi. C’è sempre tempo per dover arrivare in anticipo. Giusto Adamo?-
- Sacrosante parole!- appena interdetto, aggrottando le sopracciglia.
E la cosa finisce lì, giacché l’aria s’è distesa di nuovo, le figlie possono riprendere a respirare, Ada è chetata; Mariagrazia prende l’iniziativa e si siede ad un capo del tavolo. La cena dunque riprende scandita dalle portate, dal vorticare dell’acqua nei bicchieri, dal chiacchiericcio inane che svolazza di bocca in bocca. Maria e Daniela inghiottono bocconi spropositati, per la fame e la fretta, giacché, appena tornate, sono già in procinto d’uscire. Mariagrazia invece mangia con calma, ma riesce a divorare tutto con una lestezza che è da pochi, per poi accomiatarsi assonnata. In pochi minuti, in somma, Ada e Adamo rimangono un’altra volta soli.
- Adamo, stasera esci coi soliti "vegliardi"?-
- Mah…, pensavamo di andare a bere un goccetto al Dori. Poi forse finiremo quella maledetta partita a biliardo che abbiamo in sospeso da un mese.-
- Allora poi andate al Florida, per il biliardo?
- Sì, lì ci sono dei bei tavoli, in più è lì a due passi. Vuoi venirci anche tu, eh Ada?-
- Oh no, non dire stupidate. Lo sai benissimo che m’annoio a morte. Sono già bella che stanca a sufficienza; ho anche un po’ mal di testa. Rimango a casa. Voglio andare a letto presto. Mia madre ha ‘st’effetto su di me.-
- Lo so.-
- Va bene. Allora buona notte e buon divertimento. Ci vediamo… domani mattina. Ciao Adamo.-
- Ciao Ada, buona notte.-
E Adamo esce di casa.
A Novara Febbraio riserva delle serate gelide, così che alle nove e mezza, alla sortita di Adamo, è ormai notte fonda da almeno cinque ore e tira un’aria da montagna. Per le strade s’aggirano solamente anime in pena, giacché il divertimento notturno è rintanato nei vari locali ben riscaldati, in centro, in periferia, fuori città e in nessun luogo. Come spesso accade, Adamo si congiunge con il suo gruppetto di amici dal passato comune. Alcuni sono stati addirittura suoi compagni all’istituto di ragioneria, ma la maggior parte Adamo li ha conosciuti durante gli anni di lavoro, di contrattazioni, di speculazioni e di negotia più o meno vantaggiosi per i contraenti. Quando un certo affare era convenuto ad ambedue i sottoscriventi, sbocciava una nuova tenue amicizia. Per quegli uomini attempati, arricchiti economicamente, ma impoveriti nell’estro, una partita a biliardo è divenuta motivo di consolidamento per un’amicizia, come surrogato abulico e sedentario, e con la valenza sociale di quella partitella a calcio che giocavano in gioventù. Dunque questa sera Adamo ribadisce il suo ruolo all’interno del circolo di amicizie e riafferma il suo rango. Il suo grado è implicito quando si trova a spaccare per primo sul tavolo verde. Sono tutti dei bontemponi e si sollazzano con le loro mazze e le loro palline, succedanei frustranti a chiaro sfondo erotico. In fondo sanno spassarsela, Adamo lo sa, ma il trastullamento richiede sempre un prezzo maggiore di quanto non ci si aspetti, sicché si finisce per alzare il gomito e mandar giù. Il tavolo allora assume colori strabilianti e le mazze ritornano serpentelli maculati, le palline litigano con vita propria e i contorni del mondo svaniscono. Adamo sa eccedere senza strafare e lo dimostra anche questa sera agli amici. La loro disposizione è ancora quella di sottomettersi al più forte, al più ricco, al più spavaldo, al più realizzato, a colui che beve di più senza rimbecillire. Perciò lo stomaco di Adamo dà prova della propria possanza. È ormai mezzanotte e mezza, la partita langue nel sopore fino ad estinguersi, tra risa svogliate e stentorei sganasci di mandibole. È tardi, solo i più vigorosi si reggono in equilibrio, così che devono assumersi a stampelle per i più deboli. Sono tutti ricchi quasi pensionabili e si abbandonano alla crapula e alla gozzoviglia della domenica sera, nell’illusione di rivivere gli anni ferini della giovinezza. Adamo ne esce vincitore, come ogni volta, e può tornare a casa da sua moglie, come suo pari dal sangue blu. Un attimo, sta vagheggiando lassù, tra i fumi dell’alcol. Se ne accorge e per riprendersi decide di farsi una passeggiata nel gelo ristoratore. Il moto e la gelata lo fan rinsavire. Ora è quasi savio e si ritrova davanti alla chiesa di San Gaudenzio ad ammirarne la cupola. È illuminata dal basso con lampade alogene, così da evidenziarne gli incavi e le strutture aggettanti. Mentre osserva, beato come un angioletto, la sommità della cupola tonda e morbida che vellica il cielo nero, carico di nuvole corrive, lo afferra un istinto animale, virilmente bestiale, cogliendolo impreparato. Nel silenzio congelato avverte distintamente lo scricchiolio del cotone grezzo misto a lana sui pantaloni, all’altezza dell’inguine. Ecco: un’erezione all’una di notte, sotto il Cupolone di San Gaudenzio! Adamo è esterrefatto, ancora un po’ ciondolante, con un affare inappagato tra le gambe. Una malia vagamente perversa gli sale dal pube fino al cervello per ordinargli di tornare a casa. Vuole assolutamente trovare sazietà per i suoi corpi cavernosi. Rincasa senza fare il benché minimo rumore, controlla che le figlie siano a letto e che tutte le sue donne dormano profondamente: così è. Va in sala e accende il televisore nella speranza che trasmettano qualcosa di adatto ai suoi bisogni, ma, lo sa, domenica è una vera pena. Spegne. Il suo ardore non è nient’affatto sopito. Ada? Neanche per l’anticamera del cervello. Allora il guizzo, il lampo folgorante: una di quelle "negracce" strabordanti, mefitiche, tutt’altro che illibate. Sale in macchina, guida dove sa e gironzola a passo rimorchia-troie. Batte le vie più ferventi in determinate attività, note pressoché ad ogni Novarese. La sua brama di carne entro cui affondare s’ispessisce e diviene incontrollabile. Il lume della ragione, però, sorveglia su tutto, valutando quelle misere lungo le strade, come soppesa le varie offerte di materiale elettrico per la ditta. Di buona fattura ad un prezzo infimo. Alla fine la trova, all’ombra pece d’un alberello, appresso ad un lampione. Congelata da temperature siderali, livida per l’attesa notturna, eppure compiacente. La contrattazione dura pochissimo, giacché quella disgraziata non ha brama che d’assaporare il tepore della Chevrolet gialla di quel cazzo pallido. Adamo è soddisfatto della sua scelta e ancor più dell’affare conveniente che ha concluso. L’autoerotismo dovuto alla trattativa lo rende assai ardito e scalpitante. La ragazza è nera come l’ebano, più che abbondante, più che formosa, praticamente sformata, eppure esile di ossa, dai lineamenti fini e forse un tempo superbi. In un altro tempo, in un altro mondo, sarebbe stata un’atleta etiope, scattante e potente, tra le dune bianche, che brandisce una lancia. Sarebbe stata adorna di monili eburnei, a piedi scalzi, sotto il sole d’Africa, libera tra i leoni. Invece è lì semivestita con l’aria apatica, accomodante, mentre i seni e i fianchi le sobbalzano addosso come gelatina e le natiche s’appiccicano contro il volante caldo di una Chevrolet. Invece è intenta a trastullare un sedicente imprenditore novarese, il quale, ricco, sposato con due figlie, gode di ottima reputazione sociale e finanziaria. E quello sta lì sotto, nascosto da una montagna di lardo nero, che tenta di acquietare la sua foia famelica, la sua pulsione incontentabile, la sua smania indecifrabile. Ancora qualche scrollio, dondolio e dimenio, poi è la calma effimera, l’appagamento anodino. Adamo è devastato nel fisico e nella mente: avverte solo ora sulle cosce il quintale cedevole e se lo scrolla di dosso. La ragazza, senza aver mai fiatato, chiede il suo compenso. Adamo meccanicamente paga secondo quanto pattuito. La nera, l’antipode d’una valchiria, si risistema mentre lui fissa il vuoto informe dell’oscurità. Dopo aver sbollito i suoi caldi umori, si sente un verme verecondo. Ha già disgusto del suo gesto, ma non in quanto fedifrago, svilente e del tutto inefficace contro la malia. Anzi, il suo gesto ha peggiorato la situazione, acuendogli i sensi di colpa, il nervosismo, il terrore insondabile d’essere scoperto. Sono già le due quando l’Etiope chiede di venire accompagnata dove è stata trovata. Adamo sta assaporando il suo ribrezzo e non ascolta. Il suo sguardo è torvo e minaccioso, eppure ebete. La ragazza non si intimidisce e scende, sul ciglio di quello che al buio pare un gran fosso, per defecare. Sono arrivati, infatti, in aperta campagna per consumare la loro relazione di lavoro. La ripugnanza nauseante s’impossessa di Adamo. La circuisce con falso interessamento. Il suo volto, però, è tirato, pallido, madido. Allorché il grappolo di sterco scodinzola all’uscita dell’ano, Adamo le assesta un calcio sotto le spalle, facendole perdere l’equilibrio. Senza altro gesto da parte dell’uomo, quella svanisce nel fosso enorme, colmo d’acqua. Adamo raccoglie da terra un bastone massiccio, forse per porgerlo alla nera, invece lo scaglia sulla testa a fior d’acqua tramortendola. Il canale la inghiotte incosciente. Adamo è un po’ rintronato, ma in breve riacquista il sangue freddo, getta il bastone lontano tra i campi, risale in macchina e si invola verso casa, non visto. In un istante è fra le mura domestiche, si serra la porta alle spalle, sommessamente, guarda la sveglia: sono le due e quaranta. S’assicura che tutte dormano. S’infila il pigiama e va in bagno con i vestiti. La maglia e il maglione puzzano di fumo, di sudore e di puttana, quindi li butta tra la roba da lavare, i pantaloni si possono ancora mettere, perciò li riporta in camera da letto. La notte è silente, così che ogni fruscio, stropiccio o struscio è facilmente udibile. I suoi piedi strisciano sulla moquette grigia e la sveglia ticchetta implacabile, mentre Ada dorme placida. Adamo appoggia i calzoni sulla sedia vicina al comò, cosicché quella scricchiola appesantita, come se si stesse scardinando. Ma Adamo è già a letto sotto il piumone invernale. La nottata è solamente un ricordo fantasioso, l’immagine di un film appena veduto, il sogno perverso di un folle.
La sua mente è solo un vuoto… a rendere.
- Capisco, bene Adamo! Ma dovrai lavorare di più, ne’?-
- Beh, in un certo senso…-
- Come, tesoro!-
- Sì, mi tocca di lavorare un po’ di più, i primi tempi, ma a casa con ‘sto computer. Poi, vedrai, una volta sistemate le beghe iniziali, mi normalizzerò, io, il tran tran. Sostanzialmente cambia mica niente nelle nostre abitudini, saremo solo più ricchi ed salirò di prestigio, io.-
- Bravo sei, Adamo, il mio orgoglio! Maria, allora ce la mandiamo alla Bocconi, ‘sta fiòla?
- Che domande, santi numi, certo che sì! Ti tenevi mica dei dubbi, eh?!-
- Hai ragione, non ho mai fiducia, io.-
Silenzio per un attimo.
- C’andiamo a messa, domani, con la mamma, te l’avevo detto, no?-
- No, ma è un problema da niente, e pure ci siamo abituati a ‘ste improvvisate. L’hai invitata a pranzo, spero bene...-
- Oh, ci ho mica pensato. Lo farai tu domani, che te l’intendi tanto bene con la mamma!-
- Di sicuro. Dormiamo adesso eh, Ada. Ho sonno.-
- Sì, ho sonno anch’io. Sogni d’oro, caro.-
- ‘Notte.-
Una luce si spegne nella camera da letto di Ada e Adamo.
- Pensavo a ‘sta cosa, Adamo.-
- Hm…-
- Pensavo che magari per le vacanze di Pasqua, no, potremmo andare su qualche isoletta tropicale…, almeno una settimana. Eh, che ne dici?-
- Vedremo Ada, vedremo. Adesso dormi.-
- Come sei! È domenica domani, lo sai o no?, che t’importa d’addormentarti subito!-
- Devo passare in ufficio domani, bisogna che sbrighi le ultime pratiche per l’accorpamento.-
- Ah be’ allora... Scusa. Buona notte.-
- …notte.-
La mattina va ad accogliere i coniugi direttamente nella loro camera matrimoniale che da’ ad est, come pure i letti, così che la luce, filtrando tra le persiane accostate, solletica dolcemente gli occhi serrati dei dormienti. Il campanile batte le ore, ma non è certo questo suono abituale a svegliare Ada. Uno scatto sommesso, un cricchio; la porta che ansima attenuata, dei passi felpati, intimoriti, un fruscio d’abiti. S’accende una luce, è il lampadario dell’anticamera, mentre Ada in vestaglia punta gli occhi ristretti contro l’intruso.
- Daniela! Disgraziata che non sei altro, ti sembra l’ora di tornare a casa?!-
- Mamma! Che ti gridi!, svegli papà e Maria così.-
- Tanto meglio, così sapranno subito tutti a che ora ‘sta benedetta figlia rincasa. Che bell’esempio dai a tua sorella! Una sciagurata, tu!-
Da due stanze buie, separate, s’alzano due lamenti.
- Mamma, che c’è da gridare?-
- Ada, cosa succede?-
- Succede che tua figlia è appena entrata in casa, ah ‘sta senza cervello, praticamente se l’è passata fuori la notte! A proposito, che ore sono?-
Dicendo lancia un’occhiata alla sveglia sul comò.
- Le otto e mezza, ti rendi conto! Ma… che diavolo hai fatto in giro tutta notte?!-
- Ma mamma…
- Taci, va’ a lavarti, a cambiarti e poi vieni a far colazione. Non sperare di dormire, oggi devi studiare. Eh già, lo studio viene sempre dopo!-
- Su Ada - intanto Adamo s’è alzato - lasciala stare un attimo, calmati. Ha sonno. S’è divertita un po’, mica è un reato. La rimproveri perché non ti sei divertita anche tu, eh?-
- Lascia …-
- Dai, forza, prepariamo ‘sta colazione che ormai c’hai svegliati tutti.-
Due ragazze poco più che adolescenti, una donna di mezza età ed un uomo sui cinquanta siedono nella medesima stanza e si scrutano corrucciati al tavolo. Intanto sorseggiano il caffè e latte, sgranocchiano dei biscotti assonnati, si stiracchiano dentro il pigiama.
- Vedi Ada, Daniela è per niente stupida: sa il fatto suo. Guarda è già qui a far colazione, ha mica riposato ‘sta notte, ma è come se l’ha fatto. Lo so! Sei gelosa, tu, perché lei ci riesce e tu invece no; se appena tiri tardi ad addormentarti, rimani una zombie tutto il giorno dopo. Non è vero?-
- Ma sì, ma sì, lo so anch’io! Però ‘sto qua non è un motivo sufficiente, rimango arrabbiata... posso mica stare tranquilla sapendo che mia figlia ha passato tutta la notte lontano da casa. Sa Dio con chi e dove!-
- Cosa le può succedere?-
- Come sarebbe a dire! Cosa le può succedere! Ma qualunque cosa, per la miseria!-
- Dai, non c’è motivo di imprecare…-
- Certo, scusa. In ogni caso può accaderle qualsiasi cosa. Non t’immagini neanche, tu, cosa succede di notte lungo le strade, meno trafficate, e pure in quelle più trafficate oramai. Sta diventando una Babele, Novara, una città irriconoscibile. Guarda che mica è come quando eravamo giovani noialtri! C’è d’aver paura di cacciar fuori il muso, quand’è scuro. Tutta ‘sta negraglia, sporca, ubriaca, dove la metti, ma tu non li vedi i telegiornali?! Perché secondo te Novara è così sporca di questi tempi?! Adamo, guardale tu le cose come stanno! Daniela e Maria sono due belle ragazze, sono quasi delle donne oramai, e per le femmine tutto è più complicato, abbiamo la vita più difficile, siamo indifese! Non ci mette niente un Albanese, un mafioso, un delinquente qualunque, che so io, ad… ad importunarle! Può prendersele per un braccio, ‘sto brigante, e so mica come si possono difendere… E poi la notte è piena di quelle svergognate, di prostitute, che le giovani le ammaliano! Farebbero meglio a cacciarle via ‘ste…, non fanno niente di serio! E mi chiedi cosa può succedere alle mie figlie, tu!-
- Sei nel giusto, non sto mica qui a dirti che hai torto, ma a Daniela non è successo niente no, e poi lei sta sempre in compagnia. Le compagnie sono sicure da questo punto di vista. Vero Daniela?-
Quando Ada e Adamo sono arrabbiati o affrontano un diverbio riguardante le figlie, Dany e Mary ritornano Daniela e Maria.
- Sì, papi, certo.-
- Non capisci Adamo! Se per una notte non le è successo niente, a quelli lì, significa mica che la lasciano in pace pure la prossima volta!-
- Non ci sarà una prossima volta, questo sia chiaro. Daniela non passerà più la notte fuori senza il nostro permesso, che daremo, parlo con te, signorina!, in via eccezionale. Daniela, è vero che non passerai più la notte lontano di casa senza avvisarci, e senza permesso? Su metti in pace il cuore della mamma.-
- Certo, papà.-
- Ada, Daniela, la questione è chiusa, occhèi? Tesoro, non fare dei drammi esagerati! Dany, non tollererò altri sgarri da parte tua! Intesi?-
Le due donne asseriscono con il capo e il clima famigliare si distende sensibilmente. Maria ha trattenuto a stento risolini per tutta la conversazione. Sempre in silenzio però, lanciandosi occhiate cariche di significato, tutti e quattro si levano ed ognuno svanisce in una stanza differente. Ada finisce in bagno, ma in un lampo è di nuovo in cucina per sparecchiare e mettere le tazze in acqua; Adamo è in camera a vestirsi come anche Daniela e Maria.
Sono le 10:30, ed è ora d’andare in chiesa, prima però, Adamo passa in ufficio.
La messa volge già al termine, il sermone del parroco è stato illuminante per la fervida fedeltà di Adamo. Scivola di mano in mano il cestello in vimini destinato alle offerte e Adamo è come il solito munifico. Tuttavia prima di lasciar cadere nel paniere le sue banconote accartocciate, vi sbircia dentro e calcola velocemente le proporzioni delle offerte, rispetto a quelli che l’hanno preceduto. Tirate le somme, lascia la presa soddisfatto. Non appena il paniere cade tra le braccia dell’ultimo sedile, i fedeli sono liberi d’andare in pace. Sulla piazzola antistante la chiesa di S. Gaudenzio si ritrovano periodicamente, ogni domenica mattina dopo la messa, gli amici d’altri tempi, ormai signori onusti di tutti i loro anni. Sono tutti più o meno benestanti, figli degli antichi nobili di Novara, oppure dei nobilucci arrivisti. Questi, alleatisi con prontezza e in opportunità con i vari casati vincenti, dai Gonzaga ai Visconti ai Medici, dagli Spagnoli d’Aragona ai viennesi d’Asburgo, dai Savoia piemontesi ai fascisti romani, rimpinguarono le proprie riserve auree, arrogandosi diverse scorte di sangue blu. Oppure, ancora su quella piazzola novarese, s’affastellano anche i "homines novi" dell’elite urbana, vale a dire gli arricchiti, l’avvenenza borghese. E su quella piazza queste tre sottoclassi potenti, che abitano il centro riverente di Novara, si mescolano e si compenetrano rimestando il loro sangue. Così il blu azzurrino di uno s’arricchisce degli anticorpi targati con una "$" dell’altro. Queste classi un po’ si temono, ma pure si studiano: i "novi" per il passato dei "veteres", e questi per il presente propizio degli altri.
Là fuori formano dei crocchi di poche persone e gesticolano ameni con quell’aria mondana e quella sopita fierezza che le classi superbe serbano per i ritrovi in società. Finalmente compare dall’ombroso ingresso della chiesa il parroco che, come di consuetudine, visita metodicamente ogni capannello sussurrando una parola a ciascuno. Il rito esige che si avvicini anche al gruppetto di Adamo, ove la sua famiglia occupa una posizione di rispetto.
- Mio caro Adamo, voi siete un eupatride!-
E marca bene "eupatride", sapendo che Adamo non ne intuisce, nemmeno vagamente, il significato.
- Ha ragione, padre.-
Adamo ammicca, inavvertitamente impacciato. Il parroco ha studiato le lingue classiche, invece Adamo è un ragioniere laureato in economia alla Bocconi. Il prete ha consumato la sua parola per quel drappello e migra verso altri bisognosi. Gli Stangalini, la famiglia di Adamo, rimangono perplessi per alcuni attimi. Egli, allora, coglie il silenzio che ha lasciato l’aria inalterata.
- Mariagrazia, posso invitarla a pranzo da noi? Sua figlia Ada ha già preparato tutto; Daniela e Maria hanno novità da riferirle su questioni sentimentali, riconoscendo in lei un’ottima consigliera! Accetta, son convinto, il mio invito?-
- Certamente, caro Adamo! Sono felice di fornir ragguagli a Maria e a Daniela, ‘ste giovincelle. Son giovani come l’acqua, ne hanno bisogno, ché i vecchi le hanno sperimentate tutte, prima di loro, le traversie del cuore.-
È tardi un’altra volta e gli stomaci borbottano, abituati alla regolarità dei pasti; gracidano perché è ora di pranzo. Questa domenica Ada non deve correre a casa come la volta scorsa, constatato che è assai più comodo preparare la sera prima: c’è solo da cuocere la pasta e da scaldare l’arrosto. Sicché i cinque, Mariagrazia, Adamo, Ada, Maria e Daniela, s’avviano all’auto che hanno lasciato nei pressi della Banca Popolare di Novara, nello spiazzo tra la filiale storica e quella moderna.
In molti, tra quelli presenti a messa, hanno parcheggiato in quei dintorni, benché nessuno abiti così lontano da rendere indispensabile l’uso dell’auto. La domenica, però, si sfoggiano le livree, le cavalcature e le carrozze, in somma: abiti e auto. E persino, anzi, soprattutto sulle auto, si legge la differenza di quelle tre sottoclassi: nobili, nobilucci e arricchiti. I primi, più laconici e riservati, eppur dal passato altezzoso, guidano (cavalcano) solo destrieri purosangue, non razze artificialmente incrociate, mica bastardi. Nelle loro scuderie, dunque, si pascono sobri bolidi lussuosi, in altre parole Mercedes, dalla serie E in su, o Jaguar eleganti, colme d’aggeggi e appendici, vestigia di sfarzosi altri tempi. Tra i nobilucci la sobrietà e l’eleganza della solidezza cedono appena il passo alla grinta della linea e alla potenza che, pur rude, evidenzia tratti d’incommensurabile estetica. Perciò i nobilucci sfoggiano Bmw scure e metallizzate, dai motori capienti e caparbi: i più giovani, senza figli, ammogliati o meno, godono delle prestazioni di sfolgoranti Serie 3, mentre gli accasati con famiglia si accomodano sulle più spaziose e monumentali Serie 5 o Serie 7, dal nobile profilo. Al seguito s’accompagnano gli arricchiti che palesano le loro carenze sanguigne anche nella scelta automobilistica. I più sensibili guidano Alfaromeo 166, trasudanti sportività e dinamismo, dimostrando sulle auto le medesime doti che s’attribuiscono alla loro schiatta. Tuttavia con più frequenza spadroneggiano manieristiche auto giapponesi o barocche statunitensi, così che la forma estetica è tralasciata e l’eleganza appiattita. In somma viene a chiarirsi finalmente la definitiva perdita del gusto del sublime, dell’ulteriore. E Adamo non fa eccezione: con un comandino congenito alle chiavi, sblocca a distanza le portiere della sua Chevrolet bordò, la quale si direbbe grottesca, movendosi da impari tra gli altri gioielli mobili. All’interno tutti e cinque hanno la possibilità di viaggiare egregiamente; Adamo conduce l’auto attraverso alcune viuzze del centro percorribile, fino ad incrociare un braccio del baluardo a senso unico. Poi si dirigono lungo Via Gnifetti verso una pasticceria. Pochi minuti dopo sono a casa. Non c’è di che stupirsi, poiché domenica è una giornata placida, il traffico tutt’altro che intenso. Adamo parcheggia davanti al proprio giardino. Abita in Via Regaldi, all’ombra di filari ombrosi; son tutti ippocastani imponenti che si conficcano, come frecce titaniche, nell’asfalto grigio, squassandolo, deformandolo. Adamo è fiero della propria magnifica villa, l’invidia del vicinato. È orgoglioso e compiaciuto d’abitare nella migliore via di Novara: in centro a ridosso del baluardo, florida più che mai e verdeggiante, silente come non è alcuna via urbana e maestosa nel suo agio. Ogni stagione dipinge la sua bellezza su quegli alberi decennali, contagiando l’intera strada. Il vicinato dice un gran bene di Adamo e della sua famiglia. I vari coabitanti, infatti, generalmente chiusi come i Novaresi, e diffidenti come coloro che posseggono molto, hanno accolto Adamo in poco tempo, calorosamente e affettuosamente. Ovviamente previo resoconto dei suoi affari, stato economico e famigliare. Si direbbe che Adamo sia ormai, a distanza di anni, definitivamente integrato. Ha un bel cane, un pastore tedesco, impiegato, oltre che come animale da compagnia, anche come cane da guardia. Adesso che l’auto è parcheggiata di fronte al cancello di casa, che Maria e Daniela siedono sul divano di fronte al televisore acceso, che Mariagrazia e Ada si prodigano in cucina, Adamo può girovagare con il suo cane. La bestiola ha ricevuto un nomignolo banale: "Doggy", cagnetto all’inglese. Bipede e quadrupede sono già in strada per Via Regaldi. In questo periodo invernale l’eleganza della via è un po’ spoglia, giacché gli ippocastani son calvi e le loro foglie si squagliano lentamente sul selciato, ma il pendio che unisce la strada al baluardo sovrastante ostenta un manto verde d’erba immortale, e morbido e brinoso. Innanzi a casa Adamo vede sempre quell’oasi semiboscosa, che lo ripara dal chiasso urbano e gli fornisce un luogo ove Doggy possa scorrazzare e delimitare il territorio. In vero quel parco senza recinzioni sarebbe interdetto ai cani, a norma di legge, ma ivi non s’è mai veduta la striscia verdognola della polizia municipale; solo qualche ronda privata vi passa, per controllare le abitazioni da cui è sovvenzionata, ma disinteressandosi d’abusi estranei. Via Regaldi non è via di transito, si sobbarca solo posti-auto lungo entrambi i lati, giacché il senso di marcia è unico. Persino a febbraio è un angolo ombroso, poiché gli ippocastani sfrondati dall’inverno hanno massa sì soverchiante, che gettano la loro sagoma oblunga e scura sul marciapiede, fondendosi con l’atmosfera plumbea.
Ad un tratto compare Ada piantando saldamente in piedi sulla strada, fa cenno a Adamo di rientrare perché il pranzo è pronto.
La tavola è ricolma di piatti caldi, che suonano al contatto con le posate d’argento; domenica è la giornata delle posate belle. Adamo e Ada siedono di fianco, frontalmente a Maria e Daniela, mentre a capotavola torreggia, ancora fiera, Mariagrazia.
Mariagrazia è vedova da parecchi anni ormai e la vita non le è più molesta, come nei primi giorni dopo il funerale del marito. Achille Bonomi era un invalido della Seconda Guerra Mondiale, scampato d’un nonnulla alle sofferenze della Prima: era un ragazzo del ’01, primo di molti fratelli. Negli anni Venti fu simpatizzante del Partito d’Azione, così che presto si arruolò nell’esercito di Sua Maestà Vittorio Emanuele III. Nel 1925, l’indomani la dichiarazione della dittatura di Benito Mussolini in parlamento, non si scomponeva affatto e marciava ancora deciso sotto l’egida del suo Re. Non lo scalfì l’eco del colpo di stato attuato in pratica dal re stesso, il quale si rifiutò di firmare lo stato d’assedio chiesto dal parlamento. La madre d’Achille era di origini nobili e si dice fosse stata un’amante di Gabriele D’annunzio. Il padre Bonomi era un industriale di Milano, possidente di svariate acciaierie, la cui famiglia aveva fatto affari con i Savoia e con l’Unità d’Italia. Una volta che il bel paese fu un’unica nazione, infatti, furono commissionati chilometri e chilometri di ferrovia, l’appalto della quale i Bonomi vinsero. Achille Bonomi, rampollo di una delle famiglie più ricche del Nord Italia, era militare per volere della madre che conservava un orgoglio nobile. Al termine della guerra Achille, prima passato con il generale Badoglio nel ’43, poi nel Comitato di Liberazione come supervisore degli Alleati, seppe sfruttare ottimamente le opportunità offerte dalla storia. Nonostante avesse dovuto subire la sconfitta della monarchia nel referendum del ’46, si prodigò con le nuove amministrazioni per appaltare la ricostruzione ferroviaria e infrastrutturale. Nel ’51, sistemati debitamente i suoi officii più impellenti, trovò il tempo per una moglie, scovata tra le file dell’aristocrazia decadente. All’epoca i Bonomi erano una garanzia di solidità morale, ma soprattutto patrimoniale, tanto che nessuna famiglia ne avrebbe rifiutata un’offerta di matrimonio per propria figlia. La prescelta fu Mariagrazia del marchesato Della Lena. Nel ’51 Mariagrazia aveva vent’un anni e andava in sposa a Achille Bonomi di cinquanta. Visse il matrimonio come un dovere morale da perseguire e da conservare. Si consegnò anima e corpo al suo ruolo novello, sia tra le mura domestiche, sia tra le pareti labili dell’alta società. Mai tentennò, raramente fu indecisa, così da ottenere la piena fiducia di Achille. La lasciò sola, morendo a settantatré anni, con tre figlie ed un patrimonio immenso da gestire. Era il 1974 quando Mariagrazia rimase vedova a quarantaquattro anni. Come aveva imparato e attuato per tutta la vita, s’impegnò nella difesa e nella cura della famiglia. Amò le tre figlie, le vezzeggiò, ma le crebbe tutte d’un pezzo, benché orfane. Ada aveva ventidue anni, Iole venti e Clelia diciannove. Tre belle e fiere fanciulle. Né Ada, né Iole poterono proseguire gli studi oltre il liceo femminile, per volere del padre, che, rimpiangendo altri tempi, riteneva dovessero attendere un marito e dedicarsi alle cure della fondazione domestica. Clelia, invece, finendo gli studi classici nel medesimo anno in cui il padre moriva, poté convincere Mariagrazia a pagarle l’università. La piccola Clelia ebbe uno strano destino: sedotta dall’ambiente universitario in fermento, a Milano, prese a frequentare gruppi… non proprio ortodossi. Scomparve nel ’78, in ottobre; fuggì forse con amici e amiche verso altri lidi. Sempre nel medesimo anno la famiglia Bonomi, per esorcizzare la disparsa di Clelia, celebrò un matrimonio: Ada sposava Adamo Stangalini e veniva ad abitare a Novara. Se Mariagrazia era un’ottima madre e donna di casa, era altrettanto negata nel maneggiare il denaro. Fu così che buona parte del patrimonio venne inghiottita dai più abbietti pescecani, i quali con fandonie colossali avevano dissanguato la vedova. Certamente i parenti non le avevano riservato un trattamento migliore. Ecco, dunque, che in relative ristrettezze economiche, Ada fu concessa sposa a Adamo, benché rampante ed arrivista imprenditorotto, appena arricchito. Mariagrazia, ancora pregna di dignità, volle per la figlia una casa adeguata, perciò regalò ai coniugi l’odierna villa in Via Regaldi. Sposata che fu anche Iole, il cui destino fu assai misero, moglie di quello che si rivelò un mafioso, Mariagrazia vendette tutti gli immobili in Milano, comprando un nobiliare appartamento a Novara, in Via XX Settembre. Era un bell’attico a metà tra il liberty e il neobarocco, ma fu anche l’ultimo dileguamento patrimoniale.
La situazione ora è questa: Mariagrazia e Ada, con il marito e le figlie, vivono a Novara; Clelia sta forse in Argentina, secondo il timbro postale di una cartolina; Iole tribola nel Principato di Monaco con un marito delinquente ed un figlio che minaccia di seguire le orme paterne.
Adesso Mariagrazia siede là, mesta, a capotavola come una matriarca, che asseconda uno stomaco inusualmente pigro, alle prese con un pasticcio di peperoni. Fatica a digerirlo, dopo che nella sua vita è riuscita a mandar giù di tutto: dallo stufato ipercalorico alla dilapidazione dell’erario e alla dispersione della famiglia.
Dal momento che le era stato insegnato a portar la pietanza alla bocca e non la bocca verso il boccone, è costretta ad intravedere Adamo, ogniqualvolta scorti un tozzo di cibo verso i denti. E alle sue spalle tutto ciò che rappresenta. Nonostante la sua rassegnazione a vedere la figlia tra le braccia d’un bruto, d’un barbaro ignorante, d’un ottentotto incivile, odia tuttora, reconditamente, ogni esponente della borghesia arricchita. A tal guisa aveva, assai sommessamente ed inconsciamente, detestato il fiuto per gli affari del marito e la sua abilità poietica. Mariagrazia amò profondamente il padre e, di conseguenza, il suo modello: un uomo fieramente nobile, distaccato, che seppe morire nell’ozium d’altri tempi. Eppure la bella vedova ora sta là, a capotavola, in casa del genero, come quasi ogni domenica. Non rifiuta mai i pranzi, non ne biasima la figlia, non disdegna le liete ore pomeridiane, trascorse sulla poltrona o sul patio, e neppure l’annoia la compagnia di tutti loro. Con tutti tali aspetti postivi, però, non riesce a non disprezzare radicalmente un bifolco, quell’Adamo lì. Lo considera, quasi senza offesa giacché non può condannare un essere colpevole solo della sua indole, uno spocchioso. Ai suoi occhi Adamo è lordo, lezzoso, maleolente per il lavoro "en plan air"; è maldestro ed incurante a causa di una certa mancanza cognitiva dei "mora" e del portamento; si direbbe grossolano, sciatto, sì che le sue mani sono ingiallite e crepate dal continuo contatto con i soldi. La fantasia immaginifica di Mariagrazia va spesso oltre, fino alla finzione di Adamo che antepone al caldo conforto del talamo la fredda conta metodica delle entrate. E se lo figura garrire, strepitare, bramire ad ogni fruscio di banconota, ad ogni tintinnio di moneta. Mariagrazia, la nonna, ha quasi concluso il pasto e assapora la sazietà, la dolce soddisfazione gastrica. Il cipiglio si rischiara subito alla visione delle nipoti, Maria e Daniela, che hanno avuto la fortuna di crescere, come lei, nell’agio. Hanno, in più, frequentato il liceo, come la madre, ed financo Maria s’iscrive all’università. Mariagrazia ha già deciso: quel po’ che le rimanesse, l’erediteranno le nipoti, fra poco entrambe maggiorenni. Talvolta a questo pensiero si rinfranca. Adesso s’alza e riesce a piazzarsi per prima sulla poltrona centrale davanti la televisione. Presto sarà imitata dai coniugi. Per la prima volta dopo anni s’avvede che "Ada" è contenuta interamente in "Adamo". A questo pensiero s’appisola.
Ada frattanto sta lavando i piatti, mentre le figlie sparecchiano in fretta e furia per poter andare a cambiarsi.
Diversamente da Mariagrazia, Maria e Daniela, con sfumature differenti, adorano il padre di cui non notano la piccolezza d’animo, la ristrettezza d’orizzonti, l’umile origine. Per loro Adamo è un padre forte e vitale, sempre pronto a proteggerle dal temperamento "virile" di Ada. Non si sono scordate di quell’ultima volta in cui erano state punite da Adamo per aver marinato la scuola. Ma era stato un episodio unico, anziché raro. Le due ragazze, infatti, hanno appreso stratagemmi più sofisticati e usato molta più prudenza. Le bigiate si sono susseguite saltuariamente, ma non la furia del padre. In un’occasione sono state colte addirittura in flagrante dalla nonna, la quale inspiegabilmente le ha coperte. Forse per il semplice gusto di appoggiare un atto di "ribellione" verso il meschino genitore. Maria e Daniela rispettano maggiormente la madre, ma il padre è adorato e lisciato, come l’unico uomo della famiglia. Adamo accondiscende a quasi ogni capriccio delle figlie, le quali non si stancano di chiedere, né indugiano ad attuare ricatti affettivi e psicologici. Il baluardo è sempre la madre, che ha la prontezza di risposta di una donna assennata, cresciuta coscienziosamente. Ella non si lascia malleare dalle figlie, ma se quelle su questo fronte falliscono, basta loro conquistare il padre per far capitolare anche la madre. Dunque Adamo è il trampolino di lancio per i desideri delle figlie, assolutamente deficienti in fatto di scrupoli. Maria e Daniela non ne vogliono sapere di borghesia, di nobiltà, di portamento, e per questo sono redarguite dalla nonna. Anche Ada partecipa al rimprovero, ma intimamente finge, a sua volta seccata dei panegirici sulla gloria antica dei Bonomi e dei Della Lena.
In fine, agli occhi di Ada, il marito è un placido imprenditore che accumula ricchezze per il futuro delle figlie, cosa non riuscita alla madre di lei. Ammira Adamo per la sua liberalità nel rapporto filiale, che ella non sa concedersi e non aveva mai sperimentato. Giudica Adamo un uomo bonario, non avido, né avaro, ma previdente come la formica, non dissipatore come la cicala e come propria madre. Adamo non è il principe azzurro per lei, ma il pacato artefice della sua felicità. Lo vede come una persona abile negli affari e nella "fabbricazione" dell’autorealizzazione. Adamo è in grado di creare appagamento, di contagiare tutta la famiglia; forse subordina e ridimensiona gli orizzonti fino ad averli a portata di mano, ma li raggiunge sempre, e li innalza ad obbiettivi primari. Operazione che sua madre non era stata capace di amministrare, cha aveva, al contrario, annichilito e svilito: aveva relegato la felicità nel passato d’oro e aveva indotto le figlie a ritenerla una condizione persa per sempre, dopo la morte del padre. "Se non puoi guardare lontano, evita di guardare." Era riuscita a mortificare come un miraggio velleitario ogni ulteriore tentativo di contentezza. In somma, aveva ostacolato le figlie e le trattava come segnate dall’onta indelebile del loro destino. Aveva saputo dilatare a tal punto gli orizzonti e allontanare gli obbiettivi, da render invisibili gli uni e intangibili gli altri. Era riuscita, in definitiva, a vanificare delle gioventù, a sopirne, se a non reprimerne, i frutti e le pulsioni. Mariagrazia era stata così abile da sfogare la propria frustrazione su Ada, Iole e Clelia, che la più piccola era fuggita all’intransigenza domestica. Ada prova tutto questo nei confronti della madre ed è inconfessabilmente contenta della morte paterna, del tracollo economico, delle ristrettezze di mezzi in cui s’era trovata…, in cui vertì anche la madre, e ne soffrì. È intimamente lieta delle sue traversie finanziarie, dei naufragi familiari perché avvilirono lo spirito sprezzante della madre. Ma sopra ogni cosa gode sfrontatamente del matrimonio con Adamo che ha annerito totalmente la bile della vecchia. Ada non scambierebbe nessun momento della sua vita con quello in cui Adamo chiese la sua mano all’impettita Mariagrazia Bonomi Della Lena. Vide il volto paonazzo di sua madre, mutar continuamente colore; infine sbollire, deglutire e ammettere la sconfitta. Si rassegnò: doveva concedere sua figlia, la sua primogenita, a quell’esponente del "popolino". Ad Ada fu sufficiente questo per amare incondizionatamente quel "bifolco", con il nome più nobile di tutti gli uomini.
Adamo, dal canto suo, non immagina di essere l’epicentro di tali rimestamenti sotterranei. Vede nelle figlie due ottime figlie, nella moglie un’ottima moglie, nella suocera la finezza di una donna dal passato illustre.
E non è detto che non sia veramente tutto qui.
Sono già le tre del pomeriggio, quando Mariagrazia si alza dal divanetto, accanto ad Ada e Adamo, e risolve d’aver perso abbastanza tempo davanti al televisore. La aspettano le sue amiche per la partita settimanale di bridge. Quindi si veste, saluta tutta la famiglia Stangalini ed esce sulla via. A dire il vero non deve percorrere molta strada, giacché il covo delle giocatrici è in una spaziosa villa ombrosa proprio lungo Via Regaldi.
La porta deglutisce rumorosamente e i due cinquantenni s’assopiscono sul divano. Basta il trillo-non-più-trillo del telefono per disturbarli e obbligare Adamo a rispondere. Il rumoreggiare dei telefoni fissi pare piuttosto un cinguettio, una modulazione. La chiamata è indirizzata a Maria.
- Maria! Vieni al telefono, è la Mara…-
- Arrivo...-
Adamo ritorna sul proprio divano, mentre la figlia discorre animatamente al telefono. Ormai, però, i coniugi sono dissonnati, così che risulta loro fastidioso perdurare nel falso sopore. Si risolvono d’uscire, con l’intendimento di bighellonare per le vie del centro, nella speranza di stuzzicare la loro curiosità. Appena Maria riattacca, Adamo la informa della loro sortita prossima.
- Usciamo, noi due. Tu e Daniela cosa pensate di fare oggi pomeriggio?-
- Io esco con la Mara, Daniela non so.-
Il padre è pensieroso.
- Hm… scusa un attimo: la Mara non poteva telefonarti sul cellulare?-
- Papà! Lo sai che spenderebbe un capitale, lei è Omnitel, io Tim! Siamo mica fesse, eh!-
- Già, già.-
- Ciao, a dopo.-
Ada e Adamo salgono in camera per abbigliarsi.
Il sole è ormai terribilmente basso sin dalle quattro di pomeriggio, giacché il solstizio è passato da poche settimane. La domenica sta languendo tra Corso Cavour e Corso Italia. La gente è scarsa per via del freddo secco, tagliente nel febbraio novarese. (Eppure questo è niente rispetto altri climi nordici per i quali Febbraio è un mese vietato all’aria aperta).
Marito e moglie non hanno notato niente che suscitasse il loro interesse, considerati i fatti che i negozi sono chiusi di domenica e che Novara non è particolarmente rinomata per la vitalità e il brio. Al contrario si intravedono sovente i padroni di cani dalle taglie più disparate. A Novara questa è l’unica certezza: i cani che ogni giorno, e più volte al giorno, devono espletare le loro funzioni fisiologiche e i padroni che li sorreggono premurosi al seguito. I Novaresi sono spesso così svogliati, che, in vero, è il cane a portare a spasso l’uomo, e anzi, gli fornisce il motivo d’un po’ di moto. Adamo è stato, invece, così previdente con il suo Doggy da non dover tribolare affatto, giacché ha il prato-orinatoio dirimpetto. I Novaresi, però, sanno fare di meglio: c’è una categoria speciale di padroni cinofili, i quali, sostenendosi troppo signori per passeggiare con il cane, lo portano a zonzo in auto. In siffatte ricerche di un parco, ove permettere alle bestiole, viziate e oziose, di liberarsi del loro grave, rinveniamo un insano amore lezioso per il cane. Non c’è neppure di che stupefarsi se quei signori auspicano più strade per raggiungere meno parchi!
Ada e Adamo hanno incontrato per lo più nervosi latori di cani e di questi non ci si può interessare, in quanto parte consolidata del paesaggio squallido. Sicché hanno concordato di tornar all’ovile, passata una misera ora e mezza. Di tutt’altro avviso sono state le ragazze che hanno disertato ogni appello parentale al buon senso e sono rincasate solo ora, alle sette e mezza. È giusto un attimo prima di cena, prima che Ada si spazientisse e violentasse loro le orecchie via cellulare.
La cena è tutta incentrata, con sacrosanta ragione, sul ritardo delle figlie. Ada imbriglia su di sé le fila del discorso e non pare avere intenzione di cedere alle parole mitigatrici di Adamo. È tanto risoluta nella propria ramanzina da vietare al marito l’apposizione di un’isolata sillaba. Non permette che possa difendere quelle due "sciagurate".
- Questa volta vostro padre non starà dalla vostra come sempre! Non è vero Adamo?
- Questa volta ha proprio ragione la mamma, non c’è niente da ribattere….-
Questa volta a Adamo spetta la parte dello spalleggiatore. Un aiuto insperato alle due giovincelle giunge dall’anziana nonna, la quale interrompe tutto suonando il campanello. Dal momento che è sempre Ada a rispondere nel citofono, "lei sì che sa trattare con gli scocciatori", il suo sermone si tronca bruscamente. L’espressione dura di Ada si frantuma delusa di fronte al volto fieramente mite della madre. Non era attesa.
- Ciao Ada, fammi salire che sono stanca.-
- Certamente mamma. Vieni su che stiamo cenando.-
Mariagrazia sale lentamente le scale, due rampe brevi, quasi due soli gradini.
- Salve a tutti!-
- Caio nonna.-
- Mamma, che ci fai ancora da queste parti? Hai giocato a bridge con le tue amiche?-
- Certo, proprio per questo sono ancora nei paraggi. Eravamo prese dalla mano avvincente…, non era il caso di lasciare lì tutto. Così mi son detta: per tardi che sia, sulla via abita mia figlia. Dunque, perché esitare?-
- Già, perché esitare… Hai fatto bene mamma.-
Ma Ada è ancora in collera e stenta a mascherarla.
- Ma che sta succedendo qui? Ada cara, sei mica arrabbiata, eh?
- Non si preoccupi Mariagrazia: è la ramanzina serale che Ada riserva a Maria e a Daniela con una certa regolarità.-
- Capisco.- E’ un po’ sconcertata.
- Ma non è niente mamma, non preoccuparti.-
Un attimo di silenzio che rischia di farsi piombo.
- È solo che queste due senza cervello tornano sempre in ritardo a cena, di notte, quando è stato loro esplicitamente chiesto di rincasare ad un’ora civile.-
- Mica vero, però, che torniamo "sempre" tardi! Sarà successo, sì e no, due domeniche in un mese!- Un bel coro, quasi unisono.
- Voi tacete! Non avete voce in capitolo.-
- Suvvia Ada, non essere così dura con Maria e Daniela. Sono giovani come l’acqua, hanno diritto di sbagliare. E poi non sono mica arrivate quando la cena era già iniziata. Devi essere un po’ più permissiva, sennò ti odieranno!-
In queste parole Mariagrazia cela sottintesi dolorosi al ricordo di Ada, e al contempo venature di scherno nei confronti di Adamo, il quale non può coglierle. Ci ha pensato Ada ad afferrare tutto. Mentre la madre parlava, ella ha trattenuto faticosamente l’odio sulle proprie guance, giacché i ricordi della giovinezza le sono passati nitidamente sotto le palpebre. Propria madre s’era comportata assai peggio di lei ed entrambe lo sapevano. Si era incollerita per molto meno e aveva seviziato mentalmente le figlie, così da farne delle scapestrate, delle misere o delle coriacee difficilmente trattabili. Non avevano avuto nessun "diritto di sbagliare". Quel "sennò ti odieranno" è stata la beffa ilare, regina dei sottintesi. Voluta dalla madre, credeva Ada, per punire l’ardita veemenza della figlia e per ricordarle la sua schiatta. Ada ha nella mente un vortice di pensieri malevoli, e ringrazia Adamo di esserci, di averla strappata dalla giurisdizione materna. Gli è grata per averle donato un po’ d’amore, per averla sottratta al suo destino di despota con i pantaloni. Dunque Ada si placa, di punto in bianco, per togliere quel po’ di soddisfazione alla madre. Ma l’ardore la riprende quando s’avvede di come la vecchia abbia sottilmente ridicolizzato il suo uomo. Quel "devi essere più permissiva" era riferito a Adamo, il bonaccione imbecille. Ecco, Ada sa che ogni parola della madre va presa esattamente al contrario, così da ricostruire il significato del suo pensiero. Secondo questo ragionamento, Mariagrazia desidera che Ada tratti male le figlie, affinché queste ultime abbiano ragioni per odiare la madre e per giudicare il padre un imbecille. Ada allora non può rischiare di farsi cogliere da quella nell’atto di riprendere le figlie. Eppure s’accorge d’essere stata plasmata, quasi ad immagine e somiglianza.
- Manno! Manno! Non è niente, hai ragione. Guarda, sono già sbollita. Ha ragione Adamo - e lo marca bene - non è niente di clamoroso che tornino un po’ tardi. C’è sempre tempo per dover arrivare in anticipo. Giusto Adamo?-
- Sacrosante parole!- appena interdetto, aggrottando le sopracciglia.
E la cosa finisce lì, giacché l’aria s’è distesa di nuovo, le figlie possono riprendere a respirare, Ada è chetata; Mariagrazia prende l’iniziativa e si siede ad un capo del tavolo. La cena dunque riprende scandita dalle portate, dal vorticare dell’acqua nei bicchieri, dal chiacchiericcio inane che svolazza di bocca in bocca. Maria e Daniela inghiottono bocconi spropositati, per la fame e la fretta, giacché, appena tornate, sono già in procinto d’uscire. Mariagrazia invece mangia con calma, ma riesce a divorare tutto con una lestezza che è da pochi, per poi accomiatarsi assonnata. In pochi minuti, in somma, Ada e Adamo rimangono un’altra volta soli.
- Adamo, stasera esci coi soliti "vegliardi"?-
- Mah…, pensavamo di andare a bere un goccetto al Dori. Poi forse finiremo quella maledetta partita a biliardo che abbiamo in sospeso da un mese.-
- Allora poi andate al Florida, per il biliardo?
- Sì, lì ci sono dei bei tavoli, in più è lì a due passi. Vuoi venirci anche tu, eh Ada?-
- Oh no, non dire stupidate. Lo sai benissimo che m’annoio a morte. Sono già bella che stanca a sufficienza; ho anche un po’ mal di testa. Rimango a casa. Voglio andare a letto presto. Mia madre ha ‘st’effetto su di me.-
- Lo so.-
- Va bene. Allora buona notte e buon divertimento. Ci vediamo… domani mattina. Ciao Adamo.-
- Ciao Ada, buona notte.-
E Adamo esce di casa.
A Novara Febbraio riserva delle serate gelide, così che alle nove e mezza, alla sortita di Adamo, è ormai notte fonda da almeno cinque ore e tira un’aria da montagna. Per le strade s’aggirano solamente anime in pena, giacché il divertimento notturno è rintanato nei vari locali ben riscaldati, in centro, in periferia, fuori città e in nessun luogo. Come spesso accade, Adamo si congiunge con il suo gruppetto di amici dal passato comune. Alcuni sono stati addirittura suoi compagni all’istituto di ragioneria, ma la maggior parte Adamo li ha conosciuti durante gli anni di lavoro, di contrattazioni, di speculazioni e di negotia più o meno vantaggiosi per i contraenti. Quando un certo affare era convenuto ad ambedue i sottoscriventi, sbocciava una nuova tenue amicizia. Per quegli uomini attempati, arricchiti economicamente, ma impoveriti nell’estro, una partita a biliardo è divenuta motivo di consolidamento per un’amicizia, come surrogato abulico e sedentario, e con la valenza sociale di quella partitella a calcio che giocavano in gioventù. Dunque questa sera Adamo ribadisce il suo ruolo all’interno del circolo di amicizie e riafferma il suo rango. Il suo grado è implicito quando si trova a spaccare per primo sul tavolo verde. Sono tutti dei bontemponi e si sollazzano con le loro mazze e le loro palline, succedanei frustranti a chiaro sfondo erotico. In fondo sanno spassarsela, Adamo lo sa, ma il trastullamento richiede sempre un prezzo maggiore di quanto non ci si aspetti, sicché si finisce per alzare il gomito e mandar giù. Il tavolo allora assume colori strabilianti e le mazze ritornano serpentelli maculati, le palline litigano con vita propria e i contorni del mondo svaniscono. Adamo sa eccedere senza strafare e lo dimostra anche questa sera agli amici. La loro disposizione è ancora quella di sottomettersi al più forte, al più ricco, al più spavaldo, al più realizzato, a colui che beve di più senza rimbecillire. Perciò lo stomaco di Adamo dà prova della propria possanza. È ormai mezzanotte e mezza, la partita langue nel sopore fino ad estinguersi, tra risa svogliate e stentorei sganasci di mandibole. È tardi, solo i più vigorosi si reggono in equilibrio, così che devono assumersi a stampelle per i più deboli. Sono tutti ricchi quasi pensionabili e si abbandonano alla crapula e alla gozzoviglia della domenica sera, nell’illusione di rivivere gli anni ferini della giovinezza. Adamo ne esce vincitore, come ogni volta, e può tornare a casa da sua moglie, come suo pari dal sangue blu. Un attimo, sta vagheggiando lassù, tra i fumi dell’alcol. Se ne accorge e per riprendersi decide di farsi una passeggiata nel gelo ristoratore. Il moto e la gelata lo fan rinsavire. Ora è quasi savio e si ritrova davanti alla chiesa di San Gaudenzio ad ammirarne la cupola. È illuminata dal basso con lampade alogene, così da evidenziarne gli incavi e le strutture aggettanti. Mentre osserva, beato come un angioletto, la sommità della cupola tonda e morbida che vellica il cielo nero, carico di nuvole corrive, lo afferra un istinto animale, virilmente bestiale, cogliendolo impreparato. Nel silenzio congelato avverte distintamente lo scricchiolio del cotone grezzo misto a lana sui pantaloni, all’altezza dell’inguine. Ecco: un’erezione all’una di notte, sotto il Cupolone di San Gaudenzio! Adamo è esterrefatto, ancora un po’ ciondolante, con un affare inappagato tra le gambe. Una malia vagamente perversa gli sale dal pube fino al cervello per ordinargli di tornare a casa. Vuole assolutamente trovare sazietà per i suoi corpi cavernosi. Rincasa senza fare il benché minimo rumore, controlla che le figlie siano a letto e che tutte le sue donne dormano profondamente: così è. Va in sala e accende il televisore nella speranza che trasmettano qualcosa di adatto ai suoi bisogni, ma, lo sa, domenica è una vera pena. Spegne. Il suo ardore non è nient’affatto sopito. Ada? Neanche per l’anticamera del cervello. Allora il guizzo, il lampo folgorante: una di quelle "negracce" strabordanti, mefitiche, tutt’altro che illibate. Sale in macchina, guida dove sa e gironzola a passo rimorchia-troie. Batte le vie più ferventi in determinate attività, note pressoché ad ogni Novarese. La sua brama di carne entro cui affondare s’ispessisce e diviene incontrollabile. Il lume della ragione, però, sorveglia su tutto, valutando quelle misere lungo le strade, come soppesa le varie offerte di materiale elettrico per la ditta. Di buona fattura ad un prezzo infimo. Alla fine la trova, all’ombra pece d’un alberello, appresso ad un lampione. Congelata da temperature siderali, livida per l’attesa notturna, eppure compiacente. La contrattazione dura pochissimo, giacché quella disgraziata non ha brama che d’assaporare il tepore della Chevrolet gialla di quel cazzo pallido. Adamo è soddisfatto della sua scelta e ancor più dell’affare conveniente che ha concluso. L’autoerotismo dovuto alla trattativa lo rende assai ardito e scalpitante. La ragazza è nera come l’ebano, più che abbondante, più che formosa, praticamente sformata, eppure esile di ossa, dai lineamenti fini e forse un tempo superbi. In un altro tempo, in un altro mondo, sarebbe stata un’atleta etiope, scattante e potente, tra le dune bianche, che brandisce una lancia. Sarebbe stata adorna di monili eburnei, a piedi scalzi, sotto il sole d’Africa, libera tra i leoni. Invece è lì semivestita con l’aria apatica, accomodante, mentre i seni e i fianchi le sobbalzano addosso come gelatina e le natiche s’appiccicano contro il volante caldo di una Chevrolet. Invece è intenta a trastullare un sedicente imprenditore novarese, il quale, ricco, sposato con due figlie, gode di ottima reputazione sociale e finanziaria. E quello sta lì sotto, nascosto da una montagna di lardo nero, che tenta di acquietare la sua foia famelica, la sua pulsione incontentabile, la sua smania indecifrabile. Ancora qualche scrollio, dondolio e dimenio, poi è la calma effimera, l’appagamento anodino. Adamo è devastato nel fisico e nella mente: avverte solo ora sulle cosce il quintale cedevole e se lo scrolla di dosso. La ragazza, senza aver mai fiatato, chiede il suo compenso. Adamo meccanicamente paga secondo quanto pattuito. La nera, l’antipode d’una valchiria, si risistema mentre lui fissa il vuoto informe dell’oscurità. Dopo aver sbollito i suoi caldi umori, si sente un verme verecondo. Ha già disgusto del suo gesto, ma non in quanto fedifrago, svilente e del tutto inefficace contro la malia. Anzi, il suo gesto ha peggiorato la situazione, acuendogli i sensi di colpa, il nervosismo, il terrore insondabile d’essere scoperto. Sono già le due quando l’Etiope chiede di venire accompagnata dove è stata trovata. Adamo sta assaporando il suo ribrezzo e non ascolta. Il suo sguardo è torvo e minaccioso, eppure ebete. La ragazza non si intimidisce e scende, sul ciglio di quello che al buio pare un gran fosso, per defecare. Sono arrivati, infatti, in aperta campagna per consumare la loro relazione di lavoro. La ripugnanza nauseante s’impossessa di Adamo. La circuisce con falso interessamento. Il suo volto, però, è tirato, pallido, madido. Allorché il grappolo di sterco scodinzola all’uscita dell’ano, Adamo le assesta un calcio sotto le spalle, facendole perdere l’equilibrio. Senza altro gesto da parte dell’uomo, quella svanisce nel fosso enorme, colmo d’acqua. Adamo raccoglie da terra un bastone massiccio, forse per porgerlo alla nera, invece lo scaglia sulla testa a fior d’acqua tramortendola. Il canale la inghiotte incosciente. Adamo è un po’ rintronato, ma in breve riacquista il sangue freddo, getta il bastone lontano tra i campi, risale in macchina e si invola verso casa, non visto. In un istante è fra le mura domestiche, si serra la porta alle spalle, sommessamente, guarda la sveglia: sono le due e quaranta. S’assicura che tutte dormano. S’infila il pigiama e va in bagno con i vestiti. La maglia e il maglione puzzano di fumo, di sudore e di puttana, quindi li butta tra la roba da lavare, i pantaloni si possono ancora mettere, perciò li riporta in camera da letto. La notte è silente, così che ogni fruscio, stropiccio o struscio è facilmente udibile. I suoi piedi strisciano sulla moquette grigia e la sveglia ticchetta implacabile, mentre Ada dorme placida. Adamo appoggia i calzoni sulla sedia vicina al comò, cosicché quella scricchiola appesantita, come se si stesse scardinando. Ma Adamo è già a letto sotto il piumone invernale. La nottata è solamente un ricordo fantasioso, l’immagine di un film appena veduto, il sogno perverso di un folle.
La sua mente è solo un vuoto… a rendere.
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